lunedì 25 ottobre 2010

Olio esausto

Osservo questi ragni. Il loro rivestimento chitinoso è trasparente, posso tranquillamente vedere i loro organi interni pulsare. Tessono ragnatele bioluminescenti, servono ad attirare gli insetti che così rimangono intrappolati e fanno da cibo ai piccoli aracnidi, oltre che essere parzialmente digeriti dai funghi che proliferano sulle ragnatele. Sono dei simbionti. I ragni tessono la tela, i funghi vi fanno le loro colonie, le rendono luminose e ricevono nutrimento anch'essi dagli insetti. Anche ai ragni conviene. Loro l'equilibrio l'hanno trovato.

Osservo i ragni tessere le loro ragnatele tra gli ingranaggi di quei macchinari che credevo anch'io miei simbionti. Io li aggiustavo, li facevo funzionare, coordinavo i loro movimenti. Ora sono morti, e con la loro morte sto morendo anch'io. Non ho più niente di cui vivere, non ho più niente da fare. L'unico mio rammarico è non aver ascoltato quei saggi uomini che tempo fa mi avevano avvisato a riguardo.
Ora il mio cibo sono le ragnatele, sono i ragni che riesco a catturare. Sono nutrienti, buoni. Ma sono anche piccoli ed il mio stomaco, perforato dall'ulcera, gradirebbe una bistecca. Gradirebbe anche dei miei compagni, dei quali mi sono nutrito fino a poco tempo fa, ci fosse ancora qualcosa di più delle ossa. Invece niente. Solo polvere ed ossa. Ho provato a mordere il metallo dei macchinari che mi facevano da alleati, ma non riesco a masticare. Mi sono rotto i denti sull'acciaio senza nemmeno scalfirlo. Curioso che la fame possa portare un uomo a fare qualcosa di così stupido, pur sapendo che è stupido.

Scrivo queste righe perchè sento la fine vicina. Sperando che un giorno qualcuno le legga. Il mito del progresso è falso, aveva ragione quel gruppo italiano che ascoltava mio fratello, quello sfaticato, come si chiamavano...? Mi ricordo solo una canzone con un ritornello che recitava in inglese 'I don't need you gadgets'. Se avessi recepito quel messaggio ora chissà dove sarei. Probabilmente con mio fratello che è stato arruolato a forza nelle Truppe Speciali di Confine perchè inutile al sistema produttivo.
O forse me lo sono sognato io e mio fratello è al sole di qualche spiaggia tropicale che beve mojito strusciando la testa tra le tette bronzee di qualche indigena. Mi piace pensarlo così... che ha trovato la sua strada senza lavorare.

Ah, il mojito. Ne berrei volentieri ancora. Purtroppo non ci sono più campi per cercare la menta. Non ci sono più campi per coltivare niente. Ci sono solo sterpaglie spinose e coriacee che crescono dalle crepe del cemento e dell'asfalto. I ricchi si sono rifugiati nelle loro roccaforti e i cecchini sparano a vista a chiunque si avvicini. A parte i convogli corazzati che portano loro i viveri, naturalmente. Quanto sperano di sopravvivere ancora in questo modo? Qualche anno? Ogni tanto qualche convoglio sbaglia strada, si perde. In quel caso è facile assaltarlo e mangiare qualcosa. Hanno persino la menta ed il rum per il mojito! Berlo mi fa male, lo stomaco mi si contrae. Ma è così buono!

Accidenti. L'unico foglio che ho trovato sta per finire e non vi ho detto praticamente niente. Spero almeno di resistere alla tentazione e non mangiarmelo. Spero di lasciarlo ai posteri. Spero di resistere alla tentazione di non salire sul tetto di questo capannone e gettarmi di sotto. Nessuno potrebbe seppelirmi. Non si possono scavare fosse sull'asfalto e sul cemento. Nemmeno quello si può fare.

venerdì 23 luglio 2010

Buio accecante

Mi hanno chiuso al buio. Mi hanno tenuto compagnia, per trent'anni, solo i contorni frastagliati della pietra. Roccia viva dove hanno scavato il buco in cui sono stato gettato. Sopra di me sbarre arruginite. Sotto solo un foro per far percolare gli escrementi. Ogni tanto gettano del cibo, ogni tanto una secchiata d'acqua caldissima, che mi ustiona la pelle, per lavare via l'odore di fogna.
Mi urlano di spostarmi. E ridono.

Non ho conosciuto la mia colpa. Non mi hanno detto niente, a parte che ero pericoloso per la società e che non potevo capirne il motivo. Nel buio solo urla disperate, singhiozzi, voci spezzate che sussurravano nenie incomprensibili e discorsi senza senso, gli schemi logici frantumati dalla disperazione...

Conosco solo i contorni ruvidi della pietra che in questi anni mi ha separato dal mondo esterno.

Poi, dopo trent'anni. Un fascio di luce. Rumore metallico ed una pesante corda che sa di muffa calata nelle tenebre.
'Aggrappati, sei libero.'
Trascinato su, contro la gravità. La luce puntata sulla mia faccia mi causa un dolore indicibile. Mi hanno lavato, sbarbato e vestito di tutto punto. Pian piano mi sono riabituato alla luce. Una donna vestita bene con un buon profumo mi dice che il mio caso è stato riaperto ed esaminato. E' stata condotta un'inchiesta negli anni. Sono emersi nuovi indizi. Un'altro colpevole prenderà il mio posto. Me lo indicano mentre lo conducono alla grotta.
'E' innocente!' Grido. Bastava guardare la paura nei suoi occhi per capirlo.
'Non dica sciocchezze. Evidentemente è in stato confusionale. Capiamo il suo disagio.'
Non ho la forza di replicare. Mi portano fuori. Mi fanno sedere su una macchina.
'Sarà contento di rivedere la sua famiglia!'

Sono seduto al tavolo con dei bambini che non conosco. Una donna che non conosco, molto più giovane di me, mi posa delle pietanze squisite sul piatto. Mi chiama 'tesoro', 'caro',... si vede che finge. Non si spreca neanche a recitare. I bambini hanno l'aria interrogativa, si stanno chiedendo cosa stia succedendo, ma provano a recitare anche loro. Recitano meglio della donna. Mi chiamano 'papà'.

Non riesco a dormire. La donna che sta con me voleva fare l'amore ma non ci sono riuscito. Penso al tizio che è finito nel mio stesso buco nella roccia. Gli stessi contorni frastagliati, duri e scivolosi appartengono a lui ora.

Il giorno dopo faccio una passeggiata nel quartiere. La gente mi saluta amichevolmente con un nome che non ricordo essere mio. Sorrido a fatica. Questo mondo non mi appartiene. E' falso! Voglio giustizia. Indago. Chiedo. Solo per sentirmi rispondere un coro di silenzio. Ci deve essere una falla. Ci deve essere un modo per distruggere quella prigione di roccia e liberare tutte quelle anime intrappolate...

Studio. Divoro libri nell'umidità della cantina. Passano i mesi. Cosa sono i mesi in confronto a trent'anni. Compro di nascosto materiale innocuo. Lo porto in cantina. Mischio prodotti chimici. Ottengo reagenti esplosivi. Basterebbe una scintilla e l'isolato salterebbe per aria. Collego i cavi ad un piccolo timer. Collego il detonatore all'esplosivo, lo imposto tra ventiquattro ore. Ricopro tutto di cellophane. Spalmo il tutto di olio per farlo scivolare meglio. Non è tanto grande. Riesco ad ingoiare tutto tra i conati, ma senza vomitare. Senza rovinare niente. Sento ticchettare dentro di me. L'esplosione dovrebbe essere sufficente a far crollare la caverna.

Ho meno di ventiquattro ore.

Prendo il fucile che ho comprato di contrabbando. Nuovo di zecca. Spara pallettoni così grossi da trapassare un'albero. E' carico.

Chiamo mia moglie di sopra. 'Tesoro? Puoi venire giù con i bambini? Papà deve farvi vedere una cosa!' Sento i piccoli passi nel corridoio. Mia moglie apre la porta, dice ai piccoli 'Attenti per le scale!' e loro corrono giù mentre li tengo sotto tiro.

Tranquille anime intrappolate nella pietra. Tra meno di un giorno sarò li e sarà tutto finito. Cos'è un giorno rispetto a trent'anni?

mercoledì 7 luglio 2010

Notte padovana

La notte è scesa sulla città, ma come al solito non ho sonno. Mi accendo una cicca, l'accendino illumina debolmente la stanza avvolta nella penombra ma per me è un bagliore accecante. Dura solo un momento, poi il tabacco comincia la sua combustione.
Mi affaccio alla finestra, la luce è spenta, sono identificabile solo dal lumino arancione della brace all'altro capo della sigaretta. Ci sono persone sotto la mia finestra, vestite alla moda, parlano una lingua che non conosco in modo molto chiassoso. Sono spacciatori, credo. Alcuni di loro li conosco. Durante il giorno frequentano il bar dove andiamo anche noi.

Per la maggior partesono nordafricani e, se chiedi un po' in giro, ti dicono che sono loro la causa della delinquenza e della decadenza della nostra città. Dietro di loro c'è un muro, i graffiti sono scritti in italiano.
Sputano per terra e sembra che litighino continuamente. In realtà mi hanno spiegato che è il loro modo di fare normale.

Dall'inizio dela via si sente un motore che ruggisce. Si vedono due fari che puntano gli abitanti della strada. Si ferma una macchina. Una Mercedes, mi pare. Uno spacciatore si avvicina alla macchina, parla attraverso il finestrino abbassato al conducente, ma la prospettiva mi impedisce di vedere cosa fanno. La macchina riparte e la discussione animata, ricomincia.

Prima che la cicca sia spenta si ferma un'altra macchina. Una BMW mi pare. Stessa scena, due persone diverse. La macchina riparte.
Apro il firgo e prendo una birra.

Mi riaffaccio alla finestra.
Spengo la cicca si ferma un'altra macchina. Una Porsche, mi pare. Stessa scena...

Tre macchine italiane. Ma la colpa del degrado è degli stranieri. Non mi è ancora venuto sonno. Penso a quella legge del mercato secondo cui l'offerta è generata dalla domanda. Apro la birra e bevo un sorso. Buona.

sabato 3 luglio 2010

Notte bassanese

Ieri notte abbiamo avuto un incontro interessante. Sono incontri casuali, hanno un sapore diverso dal solito perchè ti ritrovi a condividere molte cose con una persona che non sai se rivedrai mai più.

Eppure Bassano del Grappa ha 'solo' 40 mila abitanti.

Tornando a piedi dal centro mi diverto a guardare, sotto una nuova luce, le scritte sui muri dei palazzi abbandonati e penso a dove potrebbe essere adesso il grafomane. A dove sono quelli che lavoravano o abitavano negli stabili abbandonati e scrostati.

Poi faccio una piccola deviazione e passo per il parchetto dietro casa. Il parchetto è stato costruito tra dei palazzi di un nuovo quartiere residenziale. Cinque o sei palazzi da otto o dieci appartamenti ciascuno. La maggior parte mai abitati.
E allora penso, chi ci verrà ad abitare?
Poi mi chiedo, ci verrà mai ad abitare qualcuno?
Si, perchè qua la specuazione edilizia ci concede anche questi dubbi. Secondo me è di una tristezza disarmante...

lunedì 15 febbraio 2010

Una visita, finalmente!

E' comparsa una scritta sul muro ieri, come se un dito avesse tracciato sulla fuliggine rimasta attaccata alle pareti di casa mia. Diceva solo 'ciao a tutti'...
In casa abito solo io, senza contare i topi e gli insetti che scorazzano liberamente tra i cumuli di sporcizia e macerie. Chi aveva fatto quella scritta, quindi? sono rimasto a guardarla, ipnotizzato, con la sensazione che tra gli angoli bui ci fossero molti occhi... e forse alcuni stavano guardando me.
La solitudine gioca brutti scherzi, questo e' sicuro, mi capita spesso di svegliarmi la notte per lo scricchiolare dei vecchi legni che formano la mia abitazione, o sognare di sentire passi minacciosi dentro la mia camera da letto. Ma quella scritta... era una prova tangibile: non ero solo!

Ridendo tra me e me, da persona razionale che sono, ho tracciato sulla parete una seconda scritta, poco lontano dalla prima, con scritto: 'chi sei?'
Ovviamente non pensavo di ottenere risposta. E invece...
Questa mattina, prima di recarmi al lavoro ho controllato se vi fosse qualcosa. Vicino ai segni che avevo tracciato io ne erano comparsi degli altri, dicevano:'ci vediamo stasera, preparati!'

Tornando dal lavoro ho comprato una bottiglia di vino, come se dovessi attendere un'ospite, mi sentivo davvero stupido. La nebbia avvolge la campagna dei paeselli ameni, come quello dove vivo. Avvolge alberi, edifici, covoni di fieno. Sale lentamente dai fossi come fumo denso e umido.
Sono tornato a casa, ho mangiato e mi sono messo a lavorare al computer. Poi, all'improvviso ho sentito il bisogno di scrivere queste righe. In questo momento la vecchia pendola di casa sta' scandendo le otto con suono lugubre. Poi solo ticchettii, quelli degli ingranaggi che lavorano inesorabili.
Sento una porta cigolare di sopra, anche se le finestre sono chiuse e nessuno è potuto entrare. Poi il legno del pavimento comincia a scricchiolare sotto dei passi leggeri, eterei... ora vado. Devo stappare la bottiglia, il mio ospite è stato di parola.